che aveva come conseguenza maggiore libertà di comportamento e soprattutto poiché si poteva trascorrere un po’ di tempo in allegria.
Si scartocciava di sera, sull’aia, alla luce di qualche debole lume ad olio seduti sulle pannocchie deposte a cerchio. Al tramonto cominciavano quelli di casa; poi, un po’ alla volta, arrivavano quelli delle case vicine. Ci si sedeva apparentemente a caso ma gli innamorati, con una scusa o con l’altra, riuscivano ad avvicinarsi per potersi scambiare parole e sguardi protetti dalla penombra. Qualcuno cominciava a cantare canzoni d’amore o i divertenti canti nei quali, ad una frase scherzosa si rispondeva con una pungente, spesso anche improvvisata, che suscitava i lazzi e le risa dei presenti. Quando la scartocciatura era ormai alla fine, arrivava il sonatore e ci si preparava per il ballo. I giovani lasciavano ai vecchi il compito di scartocciare le ultime pannocchie e, tra i canti, le risa, le battute scherzose, davano inizio al pasto costituito dal “polentone” fatto con la farina nuova. Era polenta di granturco preparata anche il giorno prima, fatta a fette e condita con sugo di carne e pomodoro. Le fette erano sistemate a strati, separati da abbondante condimento, e poste in un adeguato recipiente di terracotta riscaldato dalla sottostante carbonella accesa. In questo modo la polenta assorbiva lentamente il sugo e diventava particolarmente gustosa e saporita.
Poi l’organetto aveva il sopravvento e con esso il ballo che coinvolgeva tutte le coppie.
La festa terminava all’alba con gli “scartocciatori”, in corteo e coll’organetto in testa, che si congedavano per tornare alle loro case e il loro numero si assottigliava per strada man mano che ognuno giungeva, malvolentieri, alla propria abitazione dove avrebbe ripreso la vita di sempre.
La “scartocciatura”
La scartocciatura delle pannocchie era un vero e proprio rito campagnolo di quei tempi, a partecipazione collettiva. Il "rito" incominciava a inizio sera e si prolungava per alcune ore. Vi partecipava tutta la famiglia con gruppi di amici, di vicini e di "colleghi" coltivatori residenti nello stesso rione. Dopo brevi scambi di saluti ciascuno prendeva posto presso o sopra la montagnola posta sull'aia scarsamente illuminata da una lampada esterna alla casa rurale, e si iniziava a scartocciare. Tutti procedevano di buona lena e poco a poco la montagnola diminuiva e l'aia si andava riempiendo di pannocchie di un bel colore giallo. La serata trascorreva veloce e in allegria: si cantavano canzoni campagnole, si discorreva di politica, di pettegolezzi locali, si raccontavano barzellette più o meno audaci, si mangiavano calde fette di zucca cotta e si beveva del buon vino per combattere il fresco e l'umidità della notte. Era un momento particolarmente divertente per noi ragazzi: ascoltavamo, curiosi, quei racconti, giocavano a nascondino o ci facevamo vicendevoli scherzi. Per soddisfare la voglia di dolci si potevano mangiare semi di carrube, legume usato per l'alimentazione dei cavalli, dal sapore dolciastro che ricordava quello del cioccolato. Una volta terminata la scartocciatura, la gente tornava, percorrendo strade buie e silenziose, alle proprie case. Si procedeva così per tutta la durata del periodo del raccolto andando di aia in aia per ricambiare l'aiuto agli altri coltivatori. I gruppi di amici e dei vicini erano, quasi sempre, formati dalle stesse persone. Con l'avvento delle macchine scomparve quel rituale contadino che, in quell'epoca di pochi svaghi, costituiva un vero e proprio momento di aggregazione, di solidarietà disinteressata e di divertimento: nascevano nuove amicizie e, a volte, iniziavano storie sentimentali.